Il 17 settembre ricorrono i cent’anni dalla nascita di Aldo Gastaldi detto «Bisagno», primo partigiano d’Italia. Nel Tigullio sono in corso diverse iniziative per celebrare questa data; a Genova si fa il minimo sindacale, peccato. Peccato, perché Bisagno disimpegnò sì la parte culminante della sua buona battaglia per la libertà in quella zona a levante della Superba, ma le sue origini e la sua formazione umana, culturale e spirituale affondano saldamente le radici nel capoluogo ligure. Nato a Granarolo, si diplomò all’Istituto Tecnico Galilei, fu studente alla facoltà di economia e impiegato all’Ansaldo di Sestri Ponente. Un genovese d.o.c.
Scoppiata la seconda guerra mondiale, venne chiamato alle armi e presto promosso al grado di sottotenente. Alla caduta del fascismo e dopo l’8 settembre, rifiutatosi di passare sotto le insegne della Repubblica di Salò e di schierarsi al fianco dell’occupante tedesco, diede fondo alle sue energie allo scopo di costituire una brigata partigiana: vi aderì un numero crescente di giovani antifascisti. Vide così la luce la Divisione Cichero. Da tutti Bisagno era guardato con ammirazione e rispetto per la sua autorevolezza, il suo senso del dovere, il suo spirito di sacrificio, la sua modestia e frugalità. Incarnava la quintessenza del patriota. Enorme era il suo carisma, che contribuiva a diffonderne la fama nel movimento partigiano, la popolarità tra la gente.
Gastaldi – pur annoverando nella sua squadra numerosi aderenti al PCI clandestino – si mantenne assolutamente apartitico e indipendente, mostrando anzi un’evidente insofferenza dinanzi a qualsiasi tentativo di politicizzazione indebita della lotta di liberazione. La sua forte personalità e la sua profonda dirittura morale ispirarono il cosiddetto «Codice di Cichero», un regolamento rigoroso che a tutti i partigiani correva l’obbligo di rispettare, vietandosi ogni sorta di angheria o di eccesso nei confronti di terzi.
Aldo, che le poche foto d’epoca in bianco e nero mostrano prestante e fiero ma nei tratti somatici assai più maturo dei suoi ventidue-ventitré anni, era un cattolico convinto, molto severo in primo luogo con se stesso. Capace di macinare chilometri a piedi su sentieri montani e in mezzo ai boschi, pur di trovare – a suo rischio e pericolo – una chiesa e un prete presso i quali confessarsi e comunicarsi, egli vide sempre nella scelta di campo compiuta un modo di testimoniare la radicalità del Vangelo nella città dell’uomo, così da riaffermare la dignità e la libertà degli individui e dei popoli. Da cristiano, distingueva con nettezza tra il “peccato” (nel caso specifico, ciò che lui chiamava il “metodo fascista”) e i “peccatori” (ossia i fascisti in persona, che riteneva erranti da redimere). Si rese così concreto interprete dell’insegnamento sociale della Chiesa, che di fronte all’oppressione e alla tirannide – allorché ogni giustizia è conculcata – ammette la piena legittimità della resistenza attiva, in armi.
Le circostanze della sua morte tragica e prematura – trascorso appena un mese dal fatidico 25 aprile ’45 – hanno dato origine a una ridda di ipotesi che qui non mette conto enunciare. Sta di fatto che Aldo Gastaldi «Bisagno» rimase vittima di un incidente stradale quando ancora non aveva compiuto ventiquattro anni. La sua scomparsa improvvisa, nel fiore dell’età, all’apice del successo, fu difficile da comprendere e da accettare, non solo da parte dei suoi compagni, ma pure dalle popolazioni di quelle vallate in cui aveva dispiegato la sua azione, che spesso aveva beneficato materialmente e che ne avevano conosciuto, accanto alle eccezionali qualità morali, le capacità militari di comandante buono, intelligente e ardimentoso.
Nel 2019 l’arcidiocesi di Genova, con decreto dell’allora arcivescovo Angelo Bagnasco, ha dato il via al lungo iter canonico propedeutico alla possibile beatificazione di Bisagno. Questo perché, secondo la chiesa locale, il «primo partigiano d’Italia» espresse ed esercitò le sue doti umane e le virtù cristiane (fede, speranza, carità, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) in un modo non comune; in un modo eroico.
L’esempio di vita di Bisagno, tuttavia, oltrepassa la sfera della fede e si allarga a una dimensione ancora più ampia. Egli infatti può essere presentato laicamente come paradigma di una gioventù impegnata, coraggiosa, ricca di valori, non arrendevole dinanzi alle difficoltà, determinata invece a giocare una parte preponderante in vista della costruzione di una società rinnovata, cioè più giusta e solidale, liberata da odî di parte, colonizzazioni ideologiche, prassi egoistiche; per il bene di tutti.
ALESSANDRO MANGINI